Concepire l'insegnamento
Esland (1971) ha descritto due paradigmi:
- Il paradigma che chiama “psicometrico” che è più o meno quello della scuola tradizionale;
- Il paradigma che chiama “fenomenologico” che corrisponde a quello della scuola nuova
Questi due paradigmi implicano due diverse concezioni del sapere e del mondo. Conducono
a dei piani di realtà totalmente diversi per gli insegnanti e per gli studenti.
- Il paradigma psicometrico è fondato sull’idea che lo studente ha delle capacità limitate e non è spontaneamente portato a studiare. Questa convinzione porta a mettere l’accento sul controllo, la disciplina, gli esami.
- Il paradigma fenomenologico considera invece lo studio come un processo, la conoscenza come una costruzione e il ragazzo come un essere dalle capacità illimitate. L’obiettivo dell’insegnante è quindi di scoprire i quadri di riferimento degli studenti e come essi imparano. L’insegnamento è qui centrato sullo studente.
Ma gli insegnanti non si trovano mai completamente in un paradigma o nell’altro.
Hammersley (1977) propone una tipologia più dettagliata fondata sulla rappresentazione che hanno i professori del proprio ruolo, sulla propria concettualizzazione dell’azione degli studenti e della conoscenza. Egli costruisce con questi parametri un’altra tipologia con quattro tipi d’insegnamento:
- L’insegnamento basato sulla disciplina (paradigma psicometrico di Esland)
- Insegnamento programmato che comporta un autoritarismo, ma basato su un metodo (e non su un corpus di conoscenze)
- L’insegnamento progressivo che tende a prendere in considerazione l’apprendimento spontaneo
- Il non-interventismo radicale che non si accorda con un ruolo di insegnante specifico e che vede lo studio come una produzione (e non come una riproduzione).
Ma è stata sottolineata l’opposizione tra la dottrina progressista della scuola centrata sul ragazzo e la realtà di ciò che accade nelle classi, in cui le circostanze possono costringere gli insegnanti ad agire in opposizione alle proprie convinzioni e alle proprie idee.
La tipizzazione
Gli insegnanti classificano gli studenti secondo delle categorie di cui le più semplici oppongono i “buoni” ai “cattivi”.
Li giudicano e li categorizzano in base agli obiettivi ufficiali della scuola: le loro prestazioni scolastiche. A questo criterio si aggiunge quello della disciplina.
Come si effettua la tipizzazione degli allievi da parte degli insegnanti?
In tre tempi secondo Hargreaves, Hester e Mellor (1975) :
- In una prima fase detta di speculazione cominciano a emergere le “prime impressioni” degli insegnanti sugli allievi: vengono considerate le apparenze, il rispetto o meno della disciplina. Inoltre l’insegnante fa riferimento a quello che può apprendere sulle famiglie dei suoi studenti e prende informazioni sulla loro scolarità antecedente, consultando i registri e alcuni colleghi.
- In una seconda fase detta d’elaborazione, l’insegnante entra appieno in un processo di tipizzazione. Facendo affidamento sui dati acquisiti nella fase precedente, adesso verifica le sue prime impressioni.
- Infine nella fase detta di stabilizzazione, l’insegnante si installa in una percezione definitiva dei suoi allievi, ormai classificati secondo dei tipi elaborati nel corso delle fasi precedenti.
La tipizzazione non è una creazione ex nihilo. Ogni allievo è percepito allo stesso tempo a partire
sia dalle informazioni di cui dispone l’insegnante, sia dall’idea che l’insegnante si fa dell’allievo ideale.
L’effetto Pigmalione
L’insegnante all’inizio ha sull’allievo un’impressione generale, in seguito egli predice che la sua sarà una buona scolarizzazione e l’attitudine del ragazzo sarà determinata dalla sua predizione. Il comportamento dello studente tende ad aggiustarsi a quello dell’insegnante. (...)
L’idea che l’insegnante ha dell’allievo esercita un’influenza notevole sul suo comportamento e sui risultati ottenuti.
Tratto da "Microsociologie de la vie scolaire" Georges Lapassade, trad. di Giusi Lumare
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