Laicità nella Costituzione italiana ed europea

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Il Principio di laicità nella Costituzione italiana ed europea

 

Sommario: 1: La laicità dello Stato da principio generale a principio supremo dell’ordinamento costituzionale. 2: Il principio di laicità fra ideologia e metodo. 3: Il caso “Francia”. 4: La questione del Crocifisso. 5: L’Europa e la funzione del Diritto.

 

1. La laicità dello Stato da principio generale a principio supremo dell’ordinamento costituzionale

“La costituzione italiana non opera…alcun riferimento esplicito alla laicità dello Stato come carattere necessario dello Stato. Tale nozione è stata tuttavia dedotta e ricostruita dalla dottrina quale principio generale dell’ordinamento”[1].

Grazie alle elaborazioni giurisprudenziali della Corte Costituzionale, tale principio generale dell’ordinamento giuridico assurge a rango di principio supremo dell’assetto costituzionale italiano.

La sentenza miliare per tale trasformazione è la n. 203 del 1989[2].

In essa si afferma che “i valori richiamati [3] concorrono, con altri (artt. 7, 8 e 20 Cost.), a strutturare il principio supremo della laicità dello Stato, che é uno dei profili della forma di Stato delineata nella Carta costituzionale della Repubblica”.

Secondo la Corte, dal combinato disposto delle disposizioni costituzionali relative alla tutela che la Costituzione appresta ai diritti inviolabili della persona, nella sua dimensione tanto personale quanto sociale, alla pari dignità sociale di ogni persona, al principio di eguaglianza formale e sostanziale, al riconoscimento dell’autonomia dell’ordine temporale dello Stato e dell’ordine spirituale della Chiesa cattolica, all’eguale libertà e dignità delle confessioni religiose, alla libertà di religione ed alla tutela degli ordinamenti religiosi, emerge il principio di laicità dello Stato.

Esso “implica non indifferenza dello Stato dinanzi alle religioni ma garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale”. Tale connotazione giuridica dell’ordinamento concorre, secondo la Corte, alla delineazione della forma dello Stato italiano. Dunque, in ultima analisi, quell’alchimia di valori che, per dirla con il Mortati, dat esse rei, rappresenta l’essenza ontologica di uno Stato.

Si afferma il dovere dello Stato, in virtù del richiamato principio di laicità, di salvaguardare “l'autodeterminazione dei cittadini, mediante il riconoscimento di un diritto soggettivo di scelta, se avvalersi o non avvalersi del predisposto insegnamento della religione cattolica.

“Tale diritto ha come titolari i genitori e, per le scuole secondarie superiori, direttamente gli studenti, in base all'art. 1, punto 1, della L. 18 giugno 1986, n. 281 (Capacita di scelte scolastiche e di iscrizione nelle scuole secondarie superiori)”.

Come lo stesso Giudice delle leggi sottolinea, “siffatta figura di diritto soggettivo non ha precedenti in materia”.

Con il riconoscimento di tale tutela, il carattere personalista che connota la nostra Carta costituzionale si arricchisce di un elemento nuovo di portata fondamentale.

Esso, come diretta manifestazione del principio supremo della laicità dello Stato, è coperto perfino da revisioni costituzionali in materia.

Il solco, aperto dalla sentenza n. 203 del 1989, diviene più profondo e foriero di ulteriori frutti giuridici negli anni successivi.

Con la sentenza n. 259 del 1990[4] la Corte realizza pienamente quel compito statale di salvaguardia della libertà religiosa e del connesso pluralismo; si dà garanzia costituzionale alla comunità israelitica italiana lesa, in particolare, nel suo diritto di confessione religiosa ugualmente libera nei confronti dello Stato; il pluralismo religioso è tutelato anche con la sentenza n. 195 del 1993[5]. In essa vi è da sottolineare come sia ritenuto costituzionalmente legittimo un intervento economico a favore di confessioni religiose da parte di pubblici poteri.

Si può certamente affermare che nell’ordinamento giuridico italiano il principio di laicità è accolto nella sua accezione positiva di libertà religiosa.

“Si scorge agevolmente che il modello di Stato laico pluralista segue direttrici sostanzialmente divergenti, se non opposte…” rispetto al “modello di stato laico fondato sulla concezione negativa della libertà religiosa”[6] di stampo liberale ottocentesco.

Francesco Ruffini insegnava, infatti, che “quando lo Stato ha garantito ad ogni cittadino la piena libertà di coscienza, quando ha garantito a tutte le confessioni religiose o chiese la piena libertà di culto, esso ha dato tutto ciò che da lui si può giustamente pretendere in fatto di libertà religiosa”[7].

Con la Costituzione del secondo dopoguerra l’Italia sceglie la forma di Stato laico-pluralista, improntata a relazioni dirette con le Chiese e con un giudizio positivo sulla loro azione ad effetti sociali.

“Lo Stato laico pluralista si qualifica per il coniugare la tutela della libertà religiosa, individuale e collettiva, con la rilevanza sociale del fenomeno religioso, inteso in senso pluralistico a livello di strutture sociali e comunitarie”[8].

Nel 1995 la Corte arricchisce la sua giurisprudenza con la sentenza n. 149[9], rilevante per la tutela di una libertà ben più ampia di quella religiosa: trattasi della libertà di coscienza[10] e della sua connessione con il principio di laicità dello Stato. Nella sentenza si precisa che “questa Corte ha già avuto modo di precisare (v. sentenza n. 467 del 1991, nonchè sentenza n. 422 del 1993), che ” e si aggiunge che “la libertà di coscienza -- specie se correlata all'espressione dei propri convincimenti morali o filosofici (art. 21 Cost.) ovvero, come nel caso, alla propria fede o credenza religiosa (art. 19 Cost.) -- dev'essere protetta in misura proporzionata ad essa riconosciuta nella scala dei valori espressa dalla Costituzione italiana”.

Dunque, dal principio di laicità discende il carattere imparziale dello Stato nei confronti di ogni religione e la correlata necessità di rispettare la libertà di coscienza che si manifesta nell’autodeterminazione di ogni persona. Tale libertà non è fine a se stessa. Il Giudice delle leggi chiarisce, infatti, che essa è strumentale all’esercizio delle libertà ed in generale dei diritti inviolabili dell’uomo.

Questa giusta conquista della dimensione garantistica della coscienza umana come mezzo per realizzare i diritti inviolabili della persona, è frutto del messaggio consegnato da Cristo agli uomini con la sua vita (e con la sua morte); tale messaggio, letto, interpretato, talvolta stravolto dagli uomini, si è rivelato così forte da sopravvivere nella sua purezza originale. “Il legame tra cristianesimo e libertà implica una consequenzialità storica non immediatamente percepibile, un fiume carsico esplorato solo di recente proprio in quanto sotterraneo per gran parte del suo percorso”[11]. Gesù Cristo sulla Croce rispetta la libertà di coscienza dei suoi carnefici; essi sono convinti di operare bene ed Egli chiede a Dio di rispettarli e di perdonare la loro azione oggettivamente sbagliata ma soggettivamente giusta; “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno”[12].

E proprio nel solco della tradizione cristiana i coloni d’America scrivono nella Dichiarazione d’Indipendenza (che tanta influenza avrà sulla Francia)“Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità”[13].

Naturalmente, in un ordinamento giuridico che è impossibilitato de iure, in virtù del principio di laicità , e de facto, per evidenti ragioni, ad entrare nel foro interno dell’uomo, la libertà di coscienza, proprio per la sua naturale strumentalità rispetto ai diritti inviolabili, non può essere tutelata fino a mortificare questi ultimi.

Questa accezione della libertà di coscienza si può ravvisare nella sentenza della Corte Costituzionale n. 440 del 1995[14] secondo cui sebbene non si possa sanzionare la bestemmia relativamente ad una sola confessione religiosa, tuttavia deve sanzionarsi la stessa in caso di offesa alla “Divinità” volendo correttamente tutelare la dignità umana nella sua dimensione religiosa . Su questa giurisprudenza la Corte riceve talune critiche[15] da chi del principio di laicità ne fa lettura ideologica non areligiosa ma antireligiosa, come si vedrà nel prosieguo.

La laicità dello Stato deve implicare che ogni attività ordinamentale (da quella legislativa a quella giurisdizionale nonché amministrativa) deve essere svolta indipendentemente dall’ordine delle questioni religiose. Nel senso che “la religione e gli obblighi che ne derivano non possono essere imposti come mezzo al fine dello Stato…..come il caso in cui un’obbligazione di natura religiosa e il vincolo che ne deriva nel relativo ambito sono imposti per un fine probatorio proprio dell’ordinamento processale dello Stato” di cui all’art. 238 c.p.c. (relativo al giuramento decisorio) prima della sua dichiarazione parziale di incostituzionalità[16]. Nella sentenza si affina ancora di più quella nozione strumentale della libertà di coscienza. Nel caso in esame essa è strumentale all’esercizio della libertà religiosa nella sua accezione di fede in un credo religioso, o di ateismo o di agnosticismo.

Nella sentenza richiamata si legge che “poichè la libertà di coscienza di chi sia chiamato a prestare il giuramento previsto dall'art. 238 c.p.c. comporta che la determinazione del contenuto di valore ch'esso implica sia lasciata, per l'appunto, a quanto avvertito dalla coscienza, la dichiarazione d'incostituzionalità del riferimento alla responsabilità che si assume davanti a Dio deve estendersi anche al riferimento alla responsabilità davanti agli uomini. Ciò non solo perchè, altrimenti, dalla dichiarazione d'incostituzionalità dei soli riferimenti alla divinità potrebbe apparire sancita una sorta di religione dell'umanità, ma anche perchè, mantenendosi il riferimento a un solo contenuto di valore, implicitamente si escluderebbero tutti gli altri, con violazione della libertà di coscienza dei credenti, per i quali il giuramento, del tutto legittimamente, ha un significato religioso”.

Dopo il vaglio costituzionale, dunque, l’art. 238 c.p.c. risulta così modificato: “(primo comma, seconda proposizione) ;

(secondo comma): a conferma del carattere areligioso (ma non antireligioso) del principio di laicità volto a tutelare la dignità umana anche nella sua dimensione religiosa.

 

2. Il principio di laicità fra ideologia e metodo

Lo Stato laico, dunque, è un ordinamento caratterizzato da imparzialità ed equidistanza rispetto ad ogni credo religioso.

Secondo taluni la laicità dello Stato significa non solo il profilo ora precisato ma anche equidistanza dello stesso da ogni filosofia, da ogni morale. Si ritiene che “lo Stato laico costituisca così l’inveramento istituzionale di quella della salvaguardia dei diritti di libertà intesa come, secondo Calogero[17], [18].

Da ciò deriverebbe un’altra caratteristica essenziale dello Stato laico quale il pluralismo. Un pluralismo culturale libero di generare il pluralismo istituzionale. Dunque, “punto di riferimento di ideologie e culture diverse (e non di rado contrapposte) senza assumere alcuna come propria, ma garantendo – anzi e soltanto, come suo compito specifico –le condizioni istituzionali del loro conflitto e della composizione di questo”[19].

È evidente che l’unica composizione possibile dei diversi conflitti, in uno Stato di diritto, dovrebbe avvenire attraverso gli istituti democratici improntati al principio maggioritario.

La dottrina che così intende la laicità dello Stato si rende conto che “il postulato di non cognitivismo …dovrebbe indurre, se assunto con rigore, ad impedire ogni forma di protezione del modello iniziale, ossia ogni limite di contenuto alle scelte esperibili in via democratica ma ciò lo si risolverebbe attraverso una neutralità attiva intesa come obbligo di impedire l’affermazione definitiva di istanze ideologico-politiche che abbiano come tratto programmatico l’esclusione …di altre istanze emergenti dalla comunità”[20].

Ma una laicità di tal fatta implicherebbe dei giudizi valutativi su di ogni istanza ideologico-politica per decidere se impedirle di dare contenuto alle scelte ordinamentali, in particolare a quelle legislative.

Essa diverrebbe, come ritiene Calogero, con giudizio positivo, “difesa di ogni uomo dall’invadenza dei cattivi Stati e delle cattive Chiese[21]. Lo Stato laico, dunque, si porrebbe come “forma assoluta di contenuti relativi”[22]con la conseguente eliminazione di ogni weltangschaung caratterizzata dal c.d. integralismo, da certezze indimostrabili, in altri termini da dogmi.

Per effettuare tali valutazioni lo Stato dovrà necessariamente sposare il laicismo filosofico con il suo connaturale relativismo etico ed il dubbio metodico come superiore ed anzi unica via di conoscenza, escludendo ogni altra istanza ideologico-politica da sé differente. Lo Stato non sarà neutrale. La neutralità e l’imparzialità sarà solo una bella favola.

Secondo Zanone il laicismo non sarebbe tanto “una ideologia quanto un metodo, anzi può definirsi come un metodo inteso allo smascheramento di tutte le ideologie”[23]; con l’opzione democratico relativista lo Stato laico sarà “il luogo di confronto ed integrazione di tutte le verità, riconosciute e relativizzate come tali nella loro infinità varietà”[24] salvo a non relativizzare la Verità assoluta che non vi sono verità assolute ed il Dogma che vi è un solo modo di procedere a livello epistemologico: il dubbio[25].

Una laicità così interpretata è foriera di violenza, di intolleranza, di presunta superiorità intellettuale e culturale, incapace di discernere fra opinioni e verità.

A seguito di tale nozione di laicità, lo Stato diverrà proprio ciò che la dottrina laicista ritiene l’opposto dello Stato laico e cioè lo Stato integralista e/o totalitario[26].

In materia di libertà, la situazione giuridica dei cittadini francesi né atei, né agnostici, ne è davvero un triste esempio.

La laicità diviene libertà, per l’uomo, prima che per lo Stato, da ogni religione e da ogni morale non relativista fino alla eliminazione delle stesse.

Ma tale accezione è seriamente qualificabile come disumana.

Se la laicità viene intesa, al contrario, come principio di libertà nella religione e nella morale, con una precondizione essenziale quale lo Stato equidistante da ogni credo religioso o filosofico (così come delineato dalla stessa Corte costituzionale italiana), essa diviene non solo principio supremo dell’ordinamento ma metodo per la formazione delle opzioni legislative. Ogni scelta legislativa deve essere operata indipendentemente dalla religione o dalla morale. Si deve decidere in un certo senso o in un altro perché ogni singola coscienza dell’Assemblea legiferante che rappresenta la maggioranza si è determinata verso quella soluzione. È evidente che ognuno si determinerà in relazione alla sua fede, qualunque essa sia. Ciò allo Stato laico non interessa e non deve interessare. Lo Stato laico, dunque, decide con il criterio della maggioranza ma il suo diritto non è violenza e negazione della realtà. Esso tutela la libertà di ogni essere umano innanzitutto come status. L’uomo libero è quello che, al di là di ogni fede e di ogni morale, si rende conto di vivere in un contesto (quale l’universo) che non si è dato, che ha delle regole. L’uomo vi abita ma non è il padrone di casa e non è l’unico inquilino. Ecco che vi è una natura con le sue leggi ed un altro da sé con le sue esigenze. L’uomo può essere titolare di diritti ma non di arbitrii.

Dunque, lo Stato laico nella sua indipendenza decisionale deve tener conto della realtà e contemperare le diverse esigenze naturali ed umane attraverso il principio della proporzionalità ed il metodo del bilanciamento attraverso un’unità di misura universale[27], nel rispetto del nucleo essenziale (come ricorda Peter Häberle nel suo “Le libertà fondamentali nello Stato costituzionale”[28]) dei diritti stessi che lo Stato riconosce ma che non può creare e, tanto meno, eliminare.

 

3. Il caso “Francia”

«È vietato nelle scuole primarie e secondarie indossare simboli o indumenti che ostentino l'appartenenza religiosa». Questo l’articolo 1 della legge sulla laicità (la legge anti-velo come è stata definita) approvata a larghissima maggioranza dall'Assemblée nationale con 494 voti a favore, 36 contrari e 31 astensioni il 10 febbraio 2004.

Come è chiarito nel Rapporto della Commissione di riflessione sull’applicazione del principio di laicità nella Repubblica (francese)[29]La laicità si radica … nelle nostre istituzioni con la grande legge repubblicana del 9 Dicembre 1905 che separa le Chiese dallo Stato. Lo stile è notevolmente conciso: articolo primo «La Repubblica assicura la libertà di coscienza. Essa garantisce il libero esercizio dei culti, con le sole restrizioni di seguito stabilite nell'interesse dell'ordine pubblico» e articolo 2 «La Repubblica non riconosce, non finanzia né sovvenziona alcun culto […]». La dissociazione fra cittadinanza e appartenenza religiosa è affermata; la religione perde la propria funzione d'istanza ufficiale di socializzazione; infine, la Francia cessa di definirsi come nazione cattolica rinunciando nello stesso tempo al progetto di una religione civile repubblicana. La separazione è vissuta in modo doloroso da numerosi Francesi e suscita molti conflitti”.

Come si è già visto, la nozione di laicità come nozione antireligiosa deriva dal liberismo filosofico. Nel Rapporto si legge che “La Rivoluzione segna l'atto di nascita della laicità nella sua accezione contemporanea. Si afferma l'autonomia della coscienza, anche sul piano spirituale”.

L’art. 10 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 recita: « Nessuno deve essere molestato per le sue opinioni, anche religiose, posto che la loro manifestazione non turbi l'ordine pubblico stabilito dalla legge ».

La libertà di coscienza insieme all’eguaglianza di diritti delle opzioni spirituali e religiose garantite dalla neutralità del potere politico rappresentano i “tre valori indissolubili” del patto repubblicano francese.

Nel rapporto è precisato che “la libertà di coscienza permette a ciascun cittadino di scegliere la propria vita spirituale e religiosa” mentre “l'eguaglianza dei diritti vieta ogni discriminazione o costrizione e allo Stato di privilegiare questa o quella opzione. Infine, “il potere politico riconosce i propri limiti e si astiene da ogni intromissione nel campo spirituale o religioso. La laicità esprime così una concezione del bene comune. Perché ogni cittadino possa riconoscersi nella Repubblica, essa sottrae il potere politico all'influenza dominante di qualsiasi opzione spirituale o religiosa, così da consentire la civile convivenza”. Il 20 Settembre 1792, l'Assemblea legislativa laicizza lo stato civile e il matrimonio; si procede a laicizzare la scuola pubblica[30]. L'entrata in vigore del codice civile laicizza definitivamente i diritti della persona e della società.

Lo Stato opera in modo che la religione e la religiosità siano relegate nella sfera dell’intimo di ogni persona; un fatto individuale di stampo privatistico. Questa opera di laicizzazione è integrale; copre ogni aspetto dell’ordinamento. In ciò la dottrina individua una pregnante differenza fra lo “Stato laico illuminista e lo Stato pluriconfessionale nordamericano”[31].

Un’azione integralista come la laicizzazione operata in Francia provoca contrasti sanguinosi. Lo stesso Alexis de Tocqueville, pur legato ai principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione, nel suo “Viaggio negli Stati Uniti” testimonia un allontanamento degli Stati Uniti dall’esempio rivoluzionario francese a causa dei delitti lì perpetrati[32].

Si ha una sistematica “spoliazione del patrimonio ecclesiastico…….con tratti esasperatamente anticlericali”[33]. In relazione a tale profilo, lascia davvero perplessi l’affermazione di cui al Rapporto sulla laicità. Si legge, infatti, che “dopo la legge del 1905 (quella sulla laicità dello Stato) i beni mobili ed immobili sono stati restituiti allo Stato[34].

Con la Costituzione del 1946, il principio di laicità diviene principio di rango costituzionale. La Costituzione del 1958, riprendendo il primo articolo della Costituzione del 1946, afferma che « la Francia è una repubblica indivisibile, laica, democratica e sociale ».

La Francia democratica impone ai propri dipendenti di non poter esprimere il loro pensiero religioso e di esercitare la libertà religiosa nelle sue più disparate forme.

In nome della neutralità dello Stato, si legge nel Rapporto sulla laicità, “bisogna che l'amministrazione, soggetta al potere politico, dia non soltanto tutte le garanzie della neutralità ma ne mostri anche l'apparenza esterna perché l'utente non possa dubitare della sua neutralità. È ciò che il Consiglio di Stato ha chiamato il dovere di stretta neutralità che si impone ad ogni addetto che collabori ad un servizio pubblico (Consiglio di Stato 3 Maggio 1950 Signorina Jamet e il parere contenzioso del 3 Maggio 2000 Sig.na Marteaux ). Al di fuori del servizio, il pubblico dipendente è libero di manifestare le proprie opinioni e le proprie credenze, con la riserva che tali manifestazioni non abbiano ripercussioni sul servizio (Consiglio di Stato 28 Aprile 1958 Signorina Weiss ), ma nell'ambito del servizio, si applica invece il più stretto dovere di neutralità. Ogni manifestazione di convinzioni religiose nell'ambito di un servizio pubblico è vietata e lo è del pari il portare simboli religiosi, anche quando gli addetti non sono in contatto diretto con il pubblico. Anche per l'accesso ad impieghi pubblici, l'amministrazione può tenere in conto il comportamento di un candidato al servizio pubblico, quando esso sia tale da rivelare l'inattitudine all'esercizio di funzioni cui si aspira nel pieno rispetto dei principi repubblicani”.

Questa laicità antireligiosa, che pervade l’intero sistema francese, incide su situazioni giuridiche soggettive di alunne della scuola pubblica già prima della legge del 2004 sul velo.

Con sentenza del 10 marzo 1995, il Consiglio di Stato francese conferma la legittimità dei provvedimenti di espulsione dalla scuola di Stato di due sorelle di religione musulmana, Fatima e Fouzia Aoukili, perché si rifiutavano “d’ôter le foulard qu’elles portaient en signe d’appartenance religieuse lors d’un enseignement d’éducation physique”.

A giustificazione normativa di tale decisione il Consiglio di Stato richiama una serie di disposizioni[35] che pur tutelando la libertà religiosa e le sue manifestazioni, ne permettono le limitazioni per ragioni di ordine pubblico. Ciò che resta del tutto dogmatico nel senso di indi mostrato e, dunque, integralista è la connessione, sotto il profilo motivazionale in punto di fatto, fra il velo ed un pericolo per l’ordine pubblico (e nel caso specifico un attentato all’insegnamento di educazione fisica.).

In tale vicenda, non unica nel panorama francese, il Giudice effettua dei ragionamenti apparentemente basati sul rispetto della laicità come tutela della libertà della persona e dei beni correlati alla sua dignità. Si legge che, in questo come in casi simili, « le port par les élèves de signes par lesquels ils entendent manifester leur appartenance à une religion n’est pas par lui-même incompatible avec le principe de laïcité, dans la mesure où il constitue l’exercice de la liberté d’expression et de manifestation de croyances religieuses, mais que cette liberté ne saurait permettre aux élèves d’arborer des signes d’appartenance religieuse qui, par leur nature, par les conditions dans lesquelles ils seraient portés, individuellement ou collectivement, ou par leur caractère ostentatoire ou revendicatif, constitueraient un acte de pression, de provocation, de prosélytisme ou de propagande, porteraient atteinte à la dignité ou à la liberté de l’élève ou d’autres membres de la communauté éducative, compromettraient leur santé ou leur sécurité, perturberaient le déroulement des activités d’enseignement ou le rôle éducatif des enseignants, enfin troubleraient l’ordre dans l’établissement ou le fonctionnement normal du service public ».

La logica posta a base della legge c.d. antivelo del 2004, è sempre la stessa. Con l’apparenza di una normativa che tutela la dignità e la libertà umane, si continua a perpetrare la violenta affermazione di uno Stato antireligioso.

Si ritiene, addirittura, che il proselitismo religioso sia antigiuridico. Si ritiene che certi simboli possano rappresentare una pressione o addirittura una provocazione alla libertà degli altri studenti o membri della collettività.

Una perfetta applicazione del principio di liberté, égalité, fraternité. In tali leggi ed atti s’invera totalmente il principio di tolleranza.

Con tale ultima legge, la Francia ha confermato di voler difendere la sua ideologia relativista, chiudendo le porte a qualsiasi possibilità di messa in discussione. L’opzione normativa è di tipo etico-cognitivista.

Lo Stato laico francese si connota, dunque, proprio come la negazione di quello che dovrebbe essere l’inveramento istituzionale del principio di laicità. Esso si qualifica sia come uno Stato “integralista inteso come apparato istituzionale che promuove e persegue un modello etico di tipo cognitivista, risolvendo il problema dell’esistenza nella comunità di diversi e confliggenti sistemi assiologici non tramite l’integrazione ma mediante la repressione o, nel migliore dei casi con la mera tolleranza” sia come Stato “totalitario, inteso come apparato coattivo che riduce a forzata uniformità la variegata pluralità di istanze individuali e collettive emergenti dalla comunità politica, tramite l’esasperazione di un’ideologia assolutamente esclusiva ed omnipervadente”[36].

Uno stato che presenta caratteristiche giuridiche assolutamente contrarie ai valori di cui all’art. I-2 della Costituzione europea quali quelli della “dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società

caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini” .

 

4. La questione del Crocifisso

Da qualche tempo, in Italia, si è accesa la questione della compatibilità, delle disposizioni che prevedono l’esposizione del Crocifisso nelle aule scolastiche, con il principio di laicità dello Stato.

Con la sentenza n. 1110 del 17 marzo 2005, il T.A.R. Veneto ha posto, per il momento, un punto fermo stabilendo, in ultima analisi, che gli atti (amministrativi) che permettono l’esposizione (o meglio il mantenimento) del Crocifisso nelle aule scolastiche sono conformi al supremo principio di laicità, attesi: 1) il significato della laicità dello Stato; 2) i significati attribuibili all’arredo che viene esposto.

Secondo il Giudice, tale arredo è un simbolo, come la bandiera italiana. Esso ha “contenuto polisemico”. Al fine di valutare la legittimità dell’atto che ha mantenuto il Crocifisso in aula, nella sentenza si esplicita la nozione di laicità: lo Stato laico non subisce influenze dalla sfera religiosa “che rimane estranea alla sua volontà di determinazione”.

Dunque, nel solco della tradizione giurisprudenziale della Corte costituzionale (che alla laicità dà un’accezione areligiosa e non antireligiosa), il T.A.R. arricchisce tale nozione individuando un preciso diritto dello Stato-Persona: trattasi del diritto all’autodeterminazione nelle sue scelte “operative” che siano di carattere legislativo, giurisdizionale o amministrativo.

Ciò chiarito si individuano i significati del Crocifisso.

a)    un simbolo storico – culturale “ e di conseguenza dotato di una valenza identitaria riferita al nostro popolo; pur senza voler scomodare la nota e autorevole asserzione secondo cui “non possiamo non dirci cristiani”, esso indubbiamente rappresenta in qualche modo il percorso storico e culturale caratteristico del nostro Paese e in genere dell’Europa intera e ne costituisce un’efficace sintesi. Difficilmente si può negare che la nostra tormentata storia sia impregnata - nel bene e nel male - di cristianesimo, né il mutare delle analisi storiche, né la stessa indiscutibile laicità dello Stato possono modificare il passato; anche se siamo chiamati a convivere con la nostra tradizione in maniera non certo passiva, ma dialettica, considerandola come sempre aperta ed in evoluzione, essa certo non risulta eliminabile con un atto di volontà sovrana o tramite una sentenza”.

b)    Un simbolo religioso.

Se il Crocifisso fosse solo un simbolo storico-culturale la soluzione sarebbe di facile soluzione, come correttamente afferma il T.A.R. Veneto.

Ma il Crocifisso è anche, indubbiamente, un simbolo religioso.

Nelle sentenza, al fine di valutare se il Crocifisso come simbolo religioso sia o meno compatibile con il principio di laicità, si ritiene “ necessario indagare come il cristianesimo si ponga rispetto ad alcuni valori giuridicamente sanciti dalla costituzione repubblicana”. Dopo un interessante indagine su tale punto[37], si giunge alla conclusione che “si può quindi sostenere che, nell’attuale realtà sociale, il crocifisso debba essere considerato non solo come simbolo di un’evoluzione storica e culturale, e quindi dell’identità del nostro popolo, ma quale simbolo altresì di un sistema di valori di libertà, eguaglianza, dignità umana e tolleranza religiosa e quindi anche della laicità dello Stato, principi questi che innervano la nostra Carta costituzionale.
In altri termini, i principi costituzionali di libertà hanno molte radici, e una di queste indubbiamente è il cristianesimo, nella sua stessa essenza. Sarebbe quindi sottilmente paradossale escludere un segno cristiano da una struttura pubblica in nome di una laicità, che ha sicuramente una delle sue fonti lontane proprio nella religione cristiana”.

Letta superficialmente la sentenza de qua sembrerebbe porsi su basi giuridiche erronee. L’esposizione del Crocifisso, seppure simbolo del cristianesimo considerato come una radice ed un contenuto dell’attuale sistema costituzionale, renderebbe lo Stato, comunque, non più areligioso. Esso effettuerebbe, infatti, un’opzione religiosa.

Ma proprio la qualificazione di questa opzione come religiosa si manifesta errata. Nella scelta dell’esposizione del Crocifisso lo Stato italiano non è affatto determinato dalla sfera religiosa, in piena conformità con il principio di laicità. Esso è determinato dalla scelta di rappresentare se stesso nella sua parte più nascosta ma fondamentale quale quella delle sue radici cristiane[38]. Certo nelle scuole tale messaggio andrà comunicato dai docenti come indica lo stesso T.A.R. Veneto.

Un problema differente, rispetto a quello sopra richiamato, è quello della possibile lesione della sfera della libertà religiosa di chi vedendo il Crocifisso ne possa provare un’invasione spirituale perché non cristiano. Il Giudice risolve la questione in punto di fatto, rilevando che la società secolarizzata agevolmente leggerà il Crocifisso come simbolo culturale o come simbolo religioso-radice giuridica. Ad ogni modo si ritiene che tale situazione soggettiva (quella di una sorta di subita aggressione) non è, tuttavia, meritevole di tutela atteso che il nostro ordinamento è improntato al principio dell’accoglienza e dell’integrazione. Attese tutte le valenze storiche, culturali, giuridiche di tale simbolo, tutelare chi prova “fastidio” dalla visione del Crocifisso implicherebbe negare alla radice la tolleranza come valore giuridico ma soprattutto la proporzionalità come metodo di azione dello Stato.

Significherebbe l’affermazione, come si è già scritto, non della libertà nella religione ma della libertà dalla religione con la realizzazione di uno Stato laico perfettamente coincidente con l’accezione dello stato integralista e totalitario di cui prima.

Secondo una parte della dottrina l’esposizione del Crocifisso potrebbe rappresentare una forma subliminale di formazione quasi preconcetta nel senso che la religione cristiana sarebbe, in tal modo, valutata inconsciamente come un unità tra insegnamento e fede o come un’unità più profonda fra fede e società[39]. Sarebbe, dunque, un condizionamento del processo formativo. Tale tesi non convince atteso che nei processi formativi vi sono continuamente condizionamenti. La questione non è quella di eliminarli ma di impedire che giungano, a chi è in formazione, i condizionamenti negativi. Anche la fotografia del Presidente della Repubblica rappresenta un condizionamento; a livello subliminale trasmette un livello valoriale superiore della Repubblica rispetto alla monarchia. È auspicio di chi scrive che tali impostazioni non affondino,in ultima analisi, le loro radice in visioni antireligiose incompatibili con i principi supremi dell’ordinamento costituzionale italiano.

 

5. L’Europa e la funzione del Diritto *

Vittorio Emanuele Orlando nel pomeriggio del lontano 22 dicembre 1947, a commento della nuova Costituzione italiana, all’indomani del terribile secondo conflitto mondiale affermava: “qui è un’era che succede ad un’altra; è un tipo di stato che succede ad un altro. Fino ad oggi abbiamo innanzi agli occhi lo stato nazionale, originato nel secolo XVI, subito dopo il medioevo, sulla base della sovranità esclusiva, dei rapporti interni, dei rapporti internazionali: abbiamo, dunque, una comunità di stati senza che fra essi esista un vero e proprio coordinamento giuridico. Ora, per effetto di questa tremenda rivoluzione che stiamo attraversando, questo tipo di stato va a tramontare; e vi si sostituirà una forma di superstato. Quale? ….chi potrebbe dirlo?misteri della storia futura![40]

Una parte di questa storia oggi è stata già scritta.

Con l’attuale Unione Europea gli stati del nostro continente sono stati proiettati in una nuova era tanto politica quanto giuridica.

Chiunque si avvede che con la ratifica della Costituzione europea, la sovranità dei singoli Stati è sempre più in bilico su di un baratro. Ma in crisi[41] non sono lo Stato e la sua sovranità come istituti ma i singoli Stati e le loro sovranità.

Si nota che spesso la dottrina, pur nell’affermare, formalmente, che gli stati membri e non l’Unione, sono enti ancora sovrani, sembra consapevole, sostanzialmente, del contrario.

Talvolta si giunge a negare una qualche forma di sovranità all’Unione come soggetto per attribuirla, poi, oggettivizzandola, all’ordinamento[42].

In altri casi si ricorre al concetto di “sovranità solidale” secondo cui “l’attività di stati membri e Comunità, ancorché autonomi soggetti di diritto nelle relazioni internazionali, confluisca, ai fini della sovranità in una sfera giuridica unica, agendo cioè ciascuno con i poteri ad esso conferiti, al fine di concorrere all’affermazione delle prerogative sovrane”[43].

Questo ricorrente rifiuto, spesso formale ed apparente, di considerare privi di sovranità gli stati coinvolti in processi di federalizzazione, del resto, non è una novità sul piano storico-giuridico.

Nel processo di federalizzazione americana del secolo diciottesimo è nota l’opera di rassicurazione dei futuri stati membri da parte di giuristi come Madison, Hamilton, Jay , quanto alla conservazione della loro sovranità.

Nei saggi di questi autori, riuniti nei due volumi del The federalist del 1788 , si afferma che gli stessi, ratificando il testo costituzionale federale, non avrebbero perso la loro sovranità. L’avrebbero solo condivisa.

Ma ciò non sarebbe stato.

Ma proprio Madison, scrivendo al popolo dello Stato di New York, sembra consapevole del contrario e cioè che i governi (intesi come apparati politici pluriorganici) degli stati membri sono “subordinati” a quello centrale.

Si legge, infatti, che “l’apparato centrale non dovrà avere tutta la responsabilità di fare e di eseguire le leggi. La sua giurisdizione è limitata a un determinato numero di questioni che interessano tutti i membri della Repubblica, ma che non possono essere risolte con i mezzi isolati di nessuno di essi. I governi subordinati, che potranno occuparsi di tutte quelle altre questioni cui si può provvedere anche separatamente, potranno così conservare una giusta dose di poteri e di attività” [44].

Lo stesso processo si sta svolgendo nella vecchia ed aristocratica Europa.

In questi giorni, in questi mesi, gli Stati europei dovranno decidere se ratificare o meno la Costituzione europea.

Di non poco conto sono e dovranno essere le valutazioni sulla forma di Istituzione (o Stato in fieri?) che gli europei, gradualmente ma inesorabilmente, stanno edificando.

Dai lontani anni cinquanta in poi gli stati membri, prima, l’Unione dopo ed insieme, lavorano per tradurre una grande idea in un affresco prezioso.

Dunque un’Europa come laboratorio in cui gli artisti preparano gli schizzi, verificano i materiali, provano i colori e, dopo tanto impegno, aggiungono al lavoro già compiuto, un’altra pennellata.

È compito del giurista, nei panni del critico d’arte, valutare le singole pennellate e la visione d’insieme[45]”.

Fra i principi supremi dell’ordinamento costituzionale europeo che delineano la forma (quae dat esse rei) di questa realtà istituzionale non è espressamente previsto il principio di laicità.

Oltre ai richiami ad esso nella giurisprudenza costituzionale, amministrativa ed ordinaria italiana, il principio supremo della laicità dello Stato “è stato invero considerato come parametro di riferimento nella sentenza del Bundesverfassungsgericht del 16 maggio 1995, in quella della Corte costituzionale del Land Bavarese del 1 agosto 1997, nella sentenza del Tribunale federale svizzero del 26 settembre 1990, del Tribunale supremo di Spagna del 12 giugno 1990, ma anche in numerose pronunce di tribunali statunitensi, sia pure attinenti a simboli diversi dalla croce.
7.5. Il riferimento a decisioni giurisdizionali assunte in diversi ordinamenti fa desumere che il principio di laicità dello Stato faccia parte ormai del patrimonio giuridico europeo e delle democrazie occidentali, ma implica altresì che dalla sua applicazione nei casi specifici si possono trarre diverse conseguenze”[46].

Certo, dall’esegesi testuale ma anche sistematica della Costituzione europea, non si può ravvisare una possibilità ermeneutica del principio di laicità nella sua accezione antireligiosa, tipicamente francese.

Nel preambolo si afferma che l’Unione si ispira alle “eredità culturali, religiose e umanistiche dell'Europa, da cui si sono sviluppati i valori universali dei diritti inviolabili e inalienabili della persona, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, e dello Stato di diritto”.

Risulta evidente il richiamo sostanziale alle radici cristiane dell’Europa.

I valori universali che si sono sviluppati da tali eredità sono riconosciuti nell’art. I-2. che recita “l'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società

caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini.”

L’articolo II-70 riconosce la libertà di pensiero, di coscienza e di religione. In virtù di esso: “1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di manifestare la propria religione o la propria convinzione individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l'insegnamento, le pratiche e l'osservanza dei riti”.

Si possono porre limiti a tali diritti solo attraverso il principio-metodo della proporzionalità rispettando il contenuto essenziale (secondo l’insegnamento della giurisprudenza costituzionale tedesca) di essi (art. II.112).

Trattasi, dunque, con evidenza, del principio di laicità inteso come tutela della libertà di coscienza e di religione in vista dell’Uomo[47] e non come mezzo per la conservazione di un sistema assiologico quale quello del liberismo filosofico e del relativismo etico con connessi assetti di potere isituzionale.

A conferma di ciò valga anche la decisione di adottare l'inno alla gioia di Beethoven come l'inno dell'Unione europea ma volutamente privo del testo di Schiller, ricco di liberismo filosofico.

L’Europa ha posto le premesse per realizzare la piena funzione del diritto che era ben chiara agli americani della Dichiarazione d’indipendenza del 1776 .

Tali premesse dovranno essere sviluppate dalla politica, dalla dottrina, dalla giurisprudenza tenendo conto della realtà dell’Uomo e dell’universo; il pericolo di autodistruzione, che è in agguato, diverrà da potenza atto se non seguiremo il consiglio di Kant. “Kant aveva negato che Dio possa essere conoscibile nell’ambito della pura ragione, ma nello stesso tempo aveva rappresentato Dio, la libertà e l’immortalità come postulati della ragione pratica, senza la quale, coerentemente, per lui non era possibile alcun agire morale” [48].


Isabella Loiodice

Docente di Diritto amministrativo comparato nell’Università di Bari



[1] F. Rimoli, Laicità, in Enc. Giuridica, 1995, 1.

[2] Il Pretore di Firenze, con ordinanza del 30 marzo 1987 n. 575/1988, sollevava questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3 e 19 Cost., dell'art. 9, punto (recte: numero) 2, della L. 25 marzo 1985, n. 121 (Ratifica ed esecuzione dell'accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede) e dell'art. (recte: punto) 5, lettera b), numero 2, del suddetto Protocollo addizionale, nel dubbio ch'essi avrebbero causato discriminazione a danno degli studenti non avvalentisi dell'insegnamento di religione cattolica .

[3] Quali quelli di cui agli artt. 3 e 19 Cost. e cioè i valori della libertà religiosa intesa nella sua accezione di duplice divieto: a) che i cittadini siano discriminati per motivi di religione; b) che il pluralismo religioso limiti la libertà negativa di non professare alcuna religione.

[4] Le Sezioni Unite della Corte di cassazione, in un giudizio per regolamento preventivo di giurisdizione relativo ad una controversia di lavoro promossa nei confronti di una Comunità israelitica, sollevavano, in riferimento agli artt. 8, comma 2, nonchè 2, 3, 7, 8, 19 e 20 Cost., questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2, 3, 15, 16 (recte. 17), 18, 19, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 56, 57 e 58 del RD 30 ottobre 1930, n. 1731 (Norme sulle comunità israelitiche e sulla Unione delle comunità medesime) con ordinanza n. 521 del 1989.

Si sosteneva da parte del giudice rimettente che le norme denunziate, considerate nel loro complesso, davano luogo alla attribuzione della personalità giuridica di diritto pubblico alle comunità in parola, il che avrebbe contrastato sia con il principio costituzionale dell'autonomia delle confessioni religiose, che rende illegittima ogni interferenza dello Stato nell'autonomia degli enti costituiti per fini di religione, sia con il principio della laicità dello Stato, espressi nei parametri costituzionali invocati.

[5] Il Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo, con l’ordinanza n. 549 del 1992, sollevava questione di legittimità costituzionale degli artt.1 e 5, terzo comma, della legge regionale Abruzzo 16 marzo 1988 n. 29, recante la disciplina urbanistica dei servizi religiosi, nella parte in cui prevedeva l'erogazione di contributi solamente a favore delle confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato fossero regolati sulla base di intese, ai sensi dell'art. 8, terzo comma, della Costituzione. Siffatte disposizioni - ad avviso del giudice remittente - si sarebbero poste in contrasto con gli artt. 2, 3, primo e secondo comma, 8, primo comma, 19, 20, 117 e 120, terzo comma, della Costituzione.

[6] C. Cardia, Stato laico, in Enc. diritto, 1990, p. 889.

[7] F. Ruffini, Libertà religiosa e separazione tra Stato e Chiesa, in Scritti giuridici minori, I, Milano, 1936, p. 146.

[8] C. Cardia, Stato laico, op.cit, p. 889.

[9] Adìto per ottenere il risarcimento dei danni da responsabilità civile, il Pretore di Torino dopo che un testimone si era rifiutato di prestare giuramento adducendo un impedimento di coscienza a causa delle proprie convinzioni religiose, sollevava, con ordinanza n. 619 del 1994, in riferimento agli artt. 3, 19 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 251, secondo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui prevedeva che il giudice istruttore e gli legge la formula: "Consapevole della responsabilità che con il giuramento assumete davanti a Dio, se credente, e agli uomini, giurate di dire la verità, null'altro che la verità", anzichè disporre, come nell'art. 497, comma 2, del codice di procedura penale, che il giudice istruttore ; nonchè nella parte in cui lo stesso art. 251, secondo comma, del codice di procedura civile, prevedeva che .

[10] Per un approfondimento della tematica, seppure con esiti non sempre condivisibili, si veda N. Colaianni, Tutela della personalità e diritti della coscienza, Bari, 2000.

[11] T.A.R. Veneto, sent. n. 1110 del 17 marzo 2005, terza sezione, paragrafo 11.5.

[12] Vangelo secondo Luca 23, 34.

[13] Dichiarazione d’indipendenza americana. Il 4 luglio 1776 fu adottato dal secondo Congresso continentale riunitosi a Filadelfia il documento che proclamò l'indipendenza delle tredici colonie britanniche dell'America settentrionale; il giorno della sua adozione è divenuto festa nazionale (Independance Day). Il testo fu elaborato da Thomas Jefferson della Virginia, suo principale autore, John Adams del Massachusetts, Benjamin Franklin della Pennsylvania, Roger Sherman del Connecticut e Robert R. Livingston del New York. È composto da cinque sezioni: il preambolo; il riconoscimento di verità evidenti quali i diritti naturali inalienabili (la vita, la libertà, la ricerca della felicità) e il diritto di ogni popolo alla scelta di un governo che rispetti e faccia rispettare tali diritti; le accuse all’azione di governo di Giorgio III di Inghilterra; una triste presa d’atto della sordità dei fratelli inglesi alle richieste di rispetto; la proclamazione formale dell'indipendenza.

I principi enunciati nella seconda parte ebbero una rilevante influenza sugli intellettuali europei ed in particolare su quelli francesi.

sef.it/site.php?page=20050502135352251&edition=2008-04-01#_ednref14">[14] L'ordinanza n. 457 del 1995 del Tribunale di Milano proponeva la questione di legittimità costituzionale del reato di bestemmia, previsto dal comma 1 dell'art. 724 del codice penale, sotto il duplice profilo della violazione del principio di determinatezza della fattispecie penale (art. 25, secondo comma, della Costituzione) e della violazione del principio di uguaglianza in materia di religione (artt. 3 e 8, primo comma, della Costituzione). L'art. 724, comma 1, del c.p. puniva a titolo contravvenzionale la condotta di chi "pubblicamente bestemmia, con invettive o parole oltraggiose, contro la Divinità o i Simboli o le Persone venerati nella religione dello Stato".

[15] F. Rimoli, op. cit., p. 9.

[16] Con sentenza della Corte costituzionale n. 334 del 1996. La disposizione in esame disciplina il giuramento decisorio.

[17] G. Calogero, Filosofia del dialogo (raccolta di saggi), Milano, 1977, p. 294.

[18] F. Rimoli, op. cit., p. 3.

[19] S. Prisco, Fedeltà alla Repubblica e obiezione di coscienza. Una riflessione sullo Stato “laico”, Napoli, 1986, p. 30.

[20] F. Rimoli, op. cit., p. 3.

[21] G. Calogero, op, cit., p. 117.

[22] F. Rimoli, op. cit., p. 7.

[23] V. Zanone, Laicismo, in Dizionario di politica, a cura di N. Bobbio e N. Matteucci, Torino, 1976, p. 511.

[24] F. Rimoli, op. cit., p. 7.

[25] Con una minima venatura critica di ciò, si veda F. Modugno, Diritto e valori, in Giovanni Paolo II – Le vie della Giustizia, a cura di A. Loiodice e M. Vari, Roma, 2003, p. 33.

[26] F. Rimoli, op. cit., p. 3.

[27] Per una riflessione su tali tematiche si rinvia a I. Loiodice; Il principio di proporzionalità come tecnica di tutela della democrazia, in Giovanni Paolo II, op. cit., pp. 167 e ss.

[28] P. Häberle, Roma, 1993.

[29] Nominata dal presidente della Repubblica francese, al fine di svolgere un’attività istruttoria in materia di applicazione del principio di laicità in Francia, ha redatto un rapporto che poi è stato lo base per l’adozione della legge c.d. antivelo. Il rapporto è rinvenibile sul sito www. Fil-info-france.com.

[30] Secondo Condorcet, “l’istruzione pubblica è laica, non solo perchè tenuta da laici, ma anche perchè non vi è ammesso l’insegnamento di nessuna religione positiva che invece è delegato alla famiglia e alle singole Chiese” J. F. E. Robinet., Condorcet sa vie, son oeuvre, Genève, 1968, pp.166-67).

[31] C. Cardia, op. cit., p. 879.

[32] A. de Tocqueville, Viaggio negli Stati Uniti, Torino, 1990, p. 55.

[33] C. Cardia, op. cit., p. 880.

[34] Per un approfondimento storico dei delitti perpetrati dai liberali dell’800 anche in Italia si veda A. Pellicciari, L’altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata, Casale Monferrato, 2000.

[35] « Aux termes de l’article 10 de la Déclaration des droits de l’homme et du citoyen du 26 août 1789: "Nul ne doit être inquiété pour ses opinions, même religieuses, pourvu qu’elles ne troublent pas l’ordre public établi par la loi"; aux termes de l’article 2 de la Constitution du 4 octobre 1958: "La France est une République indivisible, laïque, démocratique et sociale. Elle assure l’égalité devant la loi de tous les citoyens sans distinction d’origine, de race ou de religion. Elle respecte toutes les croyances"; aux termes de l’article 10 de la loi du 10 juillet 1989 susvisée: "Dans les collèges et les lycées, les élèves disposent, dans le respect du pluralisme et du principe de neutralité, de la liberté d’information et de la liberté d’expression. L’exercice de ces libertés ne peut porter atteinte aux activités d’enseignement" ».

[36] F. Rimoli, op. cit., p. 3 che non utilizza tali definizioni per qualificare di tal fatta lo Stato francese.

[37] Nella sentenza si legge che “in una visione prospettica, nel nucleo centrale e costante della fede cristiana, nonostante l’inquisizione, l’antisemitismo e le crociate, si può agevolmente individuare il principio di dignità dell’uomo, di tolleranza, di libertà anche religiosa e quindi in ultima analisi il fondamento della stessa laicità dello Stato.
11.7. A saper mirare la storia, ponendosi cioè su di un poggio e non rimanendo confinati a fondovalle, si individua una percepibile affinità (non identità) tra il “nocciolo duro” del cristianesimo, che, privilegiando la carità su ogni altro aspetto, fede inclusa, pone l’accento sull’accettazione del diverso, e il “nocciolo duro” della Costituzione repubblicana, che consiste nella valorizzazione solidale della libertà di ciascuno e quindi nella garanzia giuridica del rispetto dell’altro. La sintonia permane anche se attorno ai due nuclei, entrambi focalizzati sulla dignità dell’uomo, si sono nel tempo sedimentate molte incrostazioni, alcune talmente spesse da occultarli alla vista, e ciò vale soprattutto per il cristianesimo.
11.8. Invero, se ci è consentita l’espressione, la consonanza tra le due sfere armoniche non riguarda affatto aspetti secondari, ma il fulcro rispettivamente della religione cristiana e dello Stato. Per il cristianesimo infatti il metodo, cioè la carità, prevale sui presupposti, cioè sulla fede, e sulle finalità, cioè sulla speranza, il che costituisce un unicum tra le religioni. Parallelamente, nelle democrazie mature, il metodo democratico prevale sui fini, per definizione mutevoli, e sui presupposti, ormai acquisiti al patrimonio dei consociati.

[38] Sul punto dell’inserzione dei principi cristiani nella Costituzione italiana si veda A. Loiodice, Attuare la Costituzione – sollecitazioni extraordinamentali, Bari, 2000.

[39]* Il presente paragrafo riprende alcuni punti del saggio di I. Loiodice, Federalismo tra incompiutezze ed evoluzioni. Le Nazioni senza Stato ed il neofeudalesimo, Bari, 2002, p. 22.

[39] N. Colaianni, Istruzione religiosa, in Enc. Giuridica, Agg. V, 1996, p. 4.

[40] V. Emanuele Orlando, Atti dell’Assemblea Costituente, in La Costituzione della Repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Camera dei deputati, Roma, 1970, p.4607.

[41] Per un approfondimento della tematica si veda J. Chevallier, L’Etat, Parigi, 1999.

[42] F. Benvenuti , Dalla sovranità dello stato persona alla sovranità dell’ordinamento, in Jus, 1995, p. 198.

[43] E. Cannizzaro, Esercizio di competenze e sovranità nell’esperienza giuridica dell’integrazione europea, in Riv. Dir. Cost. 1996, p. 122.

[44] J. Madison, The federalist, in Federalismo, Presidenza del Consiglio dei Ministri – scuola superiore della Pubblica Amministrazione, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Roma, 1995, p. 77.

[45] I. Loiodice, Federalismo, op. cit., p. 22.

[46] T.A.R. Veneto, sent. n. 1110 del 17 marzo 2005, terza sezione, paragrafi 7.4 e 7.5

[47] Per la recente impostazione scientifica, culturale e laica che colloca il diritto al servizio dell’Uomo e non del Potere e degli assetti costituiti, si vedano i variegati contributi di circa quattrocento giuristi (anche atei, laici non cristiani, ebrei, mussulmani, protestanti) in A. Loiodice, M. Vari, Giovanni Paolo II, op. cit., nonché A. Loiodice, Il legato giuridico di Giovanni Paolo Magno ed il nuovo pontefice Benedetto XVI, sul sito www.federalismi.it (22 aprile 2005).

[48] J. Ratzinger, L’Europa nella crisi delle culture, relazione tenuta venerdì 1° aprile 2005 a Subiaco, in occasione della consegna del "Premio San Benedetto per la promozione della vita e della famiglia in Europa", conferitogli dalla Fondazione Sublacense Vita e Famiglia.
L’Autore, alla luce della grave situazione attuale, propone ai non credenti una sorta di “convenzione” sull’esistenza di Dio. Nella relazione si legge, infatti, che “la situazione odierna del mondo non ci fa forse pensare di nuovo che egli possa aver ragione? Vorrei dirlo con altre parole: il tentativo, portato all’estremo, di plasmare le cose umane facendo completamente a meno di Dio ci conduce sempre di più sull’orlo dell’abisso, verso l’accantonamento totale dell’uomo. Dovremmo, allora, capovolgere l’assioma degli illuministi e dire: anche chi non riesce a trovare la via dell’accettazione di Dio dovrebbe comunque cercare di vivere e indirizzare la sua vita veluti si Deus daretur, come se Dio ci fosse. Questo è il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti; è il consiglio che vorremmo dare anche oggi ai nostri amici che non credono. Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno”. Per un’analisi dello Stato laico, scevra da ideologie relativiste, anzi consapevole che lo Stato laico antireligioso è l’espressione istituzionale in crisi di un pensiero etico debole, in crisi a sua volta, si veda G. Dalla Torre, Il primato della coscienza. Laicità e libertà nell’esperienza giuridica contemporanea, Roma, 1992.

 

 

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